E’ un film che può fare molto
male. Può fare molto male perché parla di noi, di ognuno di noi. Parla della
vita, parla di un ideale di libertà,
parla del rapporto tra l’uomo e il mondo, la realtà, quella realtà, sistema,
ingranaggio, meccanismo, complesso e imprendibile, che Kafka chiamerebbe “La Legge ”.
Fino a che punto siamo disposti
ad arrivare a perseguire questo bisogno di libertà? Libertà come bisogno di
conoscere anche le altre possibilità della vita, e per far questo, affrontare e
cercare di vincere questa “legge”. Una legge fatta di norme, divieti, spesso
assolutamente non giustificabili. Norme e divieti ciechi, assoluti, che “si
devono” seguire.
E noi? Molto spesso non ce ne
rendiamo conto, ci sembrano normali, logiche,
le seguiamo passivamente. Fino a quando arriva “Qualcuno” che ci dice
che può non essere così, che può essere altro, anche molto altro. Qualcuno che
ci risveglia da questo assoggettamento alle regole della realtà e della
normalità. Rompendo il nostro giocattolino, fatto di rassicurante ed
inconsapevole osservanza di queste regole.
Questo film può e deve essere
letto in quest’ottica. I malati siamo noi. “La Legge ”, con i suoi strumenti, cerca di appiattire
l’identità della persona, lasciando pochissimo, praticamente nessun margine di
libertà. Le regole sono troppe, e noi pensiamo (ma pensiamo?) addirittura che
siano giuste, necessarie.
E tutto questo fa male. Fa male
accorgersi che passi la vita senza renderti conto che forse hai seguito troppo
ciò che ti hanno detto che la vita sarebbe stata, senza domandarti se potesse
essere diversa. Senza qualcuno che ti dice sempre “come deve essere”. Senza
autonomia di sensazioni, di giudizio, senza poter disporre di quella conoscenza
necessaria per poter intervenire.
Poi arriva un elemento
perturbatore, liberatore, e la domanda che nasce spontaneamente è: “Ma noi dove
siamo? Io chi sono?”. Sia rispetto a me, a questo mondo, sia rispetto agli
altri.
“In che posizione mi pongo?
Subisco? Accetto? Mi rassegno? Mi adeguo, perché “questa è la vita”?
Spesso sentiamo che c’è qualcosa
che non va. Ma poi si riprende a seguire il percorso della corrente, e quando
c’è qualcuno, magari un artista, un personaggio che incontri, che ci mette di
fronte allo specchio, ti guardi e ti domandi: “Ma tu come sei rispetto alla
vita? Riesci a vedere te stesso, vivo e vitale in essa?”
Ecco a cosa serve l’arte. L’arte
può servire per farci riflettere, perché nella realtà lo spazio per riflettere
non ci è concesso, come nel manicomio del film, dove c’è la musica, la
televisione, gli esercizi fisici per farci star meglio, tutto gestito da
regole. C’è persino la democrazia, per cui “se
non si ha la maggioranza non si può”.
Il film parla di tutti questi
temi della nostra realtà, del nostro comportamento, dei nostri desideri, che
sono diventati piccoli desideri: stare meglio, divertirsi, stare tranquilli,
poter fumare una sigaretta.
E’ un film costantemente
“sospeso”, che trasmette inquietudine. La stessa inquietudine che serpeggia in
noi ed intorno a noi.
Questo personaggio, questo “Qualcuno”, questo novello
Cristo, è un eroe anomalo, che agisce soprattutto per sé, perché non può
sopportare una vita oppressa dalla Legge. Una Legge implacabile, che non lascia
scampo. Possiamo dire che non è così, che non è vero, ma se ci lasciamo colpire
da questo film e osserviamo la nostra vita e il suo rapporto con la realtà,
forse ci rendiamo conto che troppo spesso non ascoltiamo tutti i segnali che
possono essere colti. Magari a volte ci fermiamo un attimo perplessi, vedendo
“Qualcuno” agire fuori dagli schemi, dalle regole, ma poi continuiamo ad
“andare avanti”, sospinti dalla massa del pensare comune e forse invece si
dovrebbe progressivamente restare su certe sensazioni, e far sì che queste lavorino
e ci producano le prime domande, le prime ipotesi di cambiamento.
Ma bisogna avere una mente
libera, attenta, fresca, sveglia.
Come il protagonista del film, McMurphy, che sveglia gli altri, che sono assopiti, che
sono addirittura “volontari”.
Volontari del sonno. Volontari nel senso che si
nascondono alla realtà, perché hanno paura di mostrarsi ad essa, agli altri, nella
loro inadeguatezza. Hanno paura di essere derisi e giudicati, dalla inesorabile
Legge.
E così si fanno ricoverare tra i malati, tra gli inadeguati. Poi arriva Lui, una persona non
contaminata, non condizionata dal sistema, dalla Legge. E la Legge inesorabilmente lo
ferma.
Questo personaggio è un ribelle,
ma è sempre rivolto verso gli altri.
E anche questa è una cosa che fa molto male.
Perché troppo spesso siamo inghiottiti da noi stessi, dal nostro vivere
quotidiano, dai nostri bisogni, dal nostro sentire. E’ la condizione umana, non
siamo noi che siamo cattivi o egoisti. E questo fa ancora più male, perché in
genere noi siamo attenti all’altro, siamo disponibili a coglierlo, capirlo,
aiutarlo, stargli vicino.
Ma abbiamo tante di quelle cose da fare…..
Abbiamo le nostre problematiche,
per cui possiamo dedicare poco tempo, spazio ed energia all’altro.
Per McMurphy invece questo rapporto
con l’altro diventa il senso della vita. La sua necessità. L’esempio più
fulgido di questo suo ruolo è il rapporto con il Grande Capo, l’indiano che per tutta la vita ha finto di essere sordomuto, chiudendosi ad ogni
possibilità di relazione. Aveva chiuso.
Ma McMurphy, attraverso uno
straordinario lavoro di empatia, entra nel suo linguaggio e nella sua
dimensione, riuscendo a farlo aprire e farlo arrivare a dire: “Ora mi sento forte come una montagna”.
Così il Grande Capo scopre la sua
forza, la possibilità di rompere sbarre e finestre e gettarsi verso la libertà.
Da una parte c’è la realtà, la
legge, il mondo, e dall’altro ci sono io, che sono parte della realtà, ma posso
anche voler acquisire un ruolo, un senso attivo in questo rapporto con la
realtà, non chiudendomi ed escludendomi nel mio piccolo mondo, ma buttandomi
fuori, fino in fondo.
Come McMurphy, un vero eroe tragico, che si porta ai suoi
limiti e li supera, facendo vivere all’altro momenti di vera vita.
Perché è
passato lui, come una cometa, che passando ha sconvolto lo spazio, le anime, le
norme, le convenzioni, e poi è andato.
E’ volato via, lasciando a noi il suo
sorriso beffardo, ribelle, decisamente umano.
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