sabato 17 novembre 2012

Qualcuno vola ancora sul nido del cuculo?


E’ un film che può fare molto male. Può fare molto male perché parla di noi, di ognuno di noi. Parla della vita,  parla di un ideale di libertà, parla del rapporto tra l’uomo e il mondo, la realtà, quella realtà, sistema, ingranaggio, meccanismo, complesso e imprendibile, che Kafka chiamerebbe “La Legge”. 
Fino a che punto siamo disposti ad arrivare a perseguire questo bisogno di libertà? Libertà come bisogno di conoscere anche le altre possibilità della vita, e per far questo, affrontare e cercare di vincere questa “legge”. Una legge fatta di norme, divieti, spesso assolutamente non giustificabili. Norme e divieti ciechi, assoluti, che “si devono” seguire.
E noi? Molto spesso non ce ne rendiamo conto, ci sembrano normali, logiche,  le seguiamo passivamente. Fino a quando arriva “Qualcuno” che ci dice che può non essere così, che può essere altro, anche molto altro. Qualcuno che ci risveglia da questo assoggettamento alle regole della realtà e della normalità. Rompendo il nostro giocattolino, fatto di rassicurante ed inconsapevole osservanza di queste regole.


Questo film può e deve essere letto in quest’ottica. I malati siamo noi. “La Legge”, con i suoi strumenti, cerca di appiattire l’identità della persona, lasciando pochissimo, praticamente nessun margine di libertà. Le regole sono troppe, e noi pensiamo (ma pensiamo?) addirittura che siano giuste, necessarie.
E tutto questo fa male. Fa male accorgersi che passi la vita senza renderti conto che forse hai seguito troppo ciò che ti hanno detto che la vita sarebbe stata, senza domandarti se potesse essere diversa. Senza qualcuno che ti dice sempre “come deve essere”. Senza autonomia di sensazioni, di giudizio, senza poter disporre di quella conoscenza necessaria per poter intervenire.

Poi arriva un elemento perturbatore, liberatore, e la domanda che nasce spontaneamente è: “Ma noi dove siamo? Io chi sono?”. Sia rispetto a me, a questo mondo, sia rispetto agli altri.
“In che posizione mi pongo? Subisco? Accetto? Mi rassegno? Mi adeguo, perché “questa è la vita”?

Spesso sentiamo che c’è qualcosa che non va. Ma poi si riprende a seguire il percorso della corrente, e quando c’è qualcuno, magari un artista, un personaggio che incontri, che ci mette di fronte allo specchio, ti guardi e ti domandi: “Ma tu come sei rispetto alla vita? Riesci a vedere te stesso, vivo e vitale in essa?”
Ecco a cosa serve l’arte. L’arte può servire per farci riflettere, perché nella realtà lo spazio per riflettere non ci è concesso, come nel manicomio del film, dove c’è la musica, la televisione, gli esercizi fisici per farci star meglio, tutto gestito da regole. C’è persino la democrazia, per cui “se non si ha la maggioranza non si può”.
Il film parla di tutti questi temi della nostra realtà, del nostro comportamento, dei nostri desideri, che sono diventati piccoli desideri: stare meglio, divertirsi, stare tranquilli, poter fumare una sigaretta.
E’ un film costantemente “sospeso”, che trasmette inquietudine. La stessa inquietudine che serpeggia in noi ed intorno a noi. 
Questo personaggio, questo “Qualcuno”, questo novello Cristo, è un eroe anomalo, che agisce soprattutto per sé, perché non può sopportare una vita oppressa dalla Legge. Una Legge implacabile, che non lascia scampo. Possiamo dire che non è così, che non è vero, ma se ci lasciamo colpire da questo film e osserviamo la nostra vita e il suo rapporto con la realtà, forse ci rendiamo conto che troppo spesso non ascoltiamo tutti i segnali che possono essere colti. Magari a volte ci fermiamo un attimo perplessi, vedendo “Qualcuno” agire fuori dagli schemi, dalle regole, ma poi continuiamo ad “andare avanti”, sospinti dalla massa del pensare comune e forse invece si dovrebbe progressivamente restare su certe sensazioni, e far sì che queste lavorino e ci producano le prime domande, le prime ipotesi di cambiamento.

Ma bisogna avere una mente libera, attenta, fresca, sveglia.  
Come il protagonista del film, McMurphy, che sveglia gli altri, che sono assopiti, che sono addirittura “volontari”. 
Volontari del sonno. Volontari nel senso che si nascondono alla realtà, perché hanno paura di mostrarsi ad essa, agli altri, nella loro inadeguatezza. Hanno paura di essere derisi e giudicati, dalla inesorabile Legge. 
E così si fanno ricoverare tra i malati, tra gli inadeguati. Poi arriva Lui, una persona non contaminata, non condizionata dal sistema, dalla Legge. E la Legge inesorabilmente lo ferma.

Questo personaggio è un ribelle, ma è sempre rivolto verso gli altri. 
E anche questa è una cosa che fa molto male. Perché troppo spesso siamo inghiottiti da noi stessi, dal nostro vivere quotidiano, dai nostri bisogni, dal nostro sentire. E’ la condizione umana, non siamo noi che siamo cattivi o egoisti. E questo fa ancora più male, perché in genere noi siamo attenti all’altro, siamo disponibili a coglierlo, capirlo, aiutarlo, stargli vicino. 
Ma abbiamo tante di quelle cose da fare…..
Abbiamo le nostre problematiche, per cui possiamo dedicare poco tempo, spazio ed energia all’altro.

Per McMurphy invece questo rapporto con l’altro diventa il senso della vita. La sua necessità. L’esempio più fulgido di questo suo ruolo è il rapporto con il Grande Capo, l’indiano che per tutta la vita ha finto di essere sordomuto, chiudendosi ad ogni possibilità di relazione. Aveva chiuso. 

Ma McMurphy, attraverso uno straordinario lavoro di empatia, entra nel suo linguaggio e nella sua dimensione, riuscendo a farlo aprire e farlo arrivare a dire: “Ora mi sento forte come una montagna”.
Così il Grande Capo scopre la sua forza, la possibilità di rompere sbarre e finestre e gettarsi verso la libertà.

Da una parte c’è la realtà, la legge, il mondo, e dall’altro ci sono io, che sono parte della realtà, ma posso anche voler acquisire un ruolo, un senso attivo in questo rapporto con la realtà, non chiudendomi ed escludendomi nel mio piccolo mondo, ma buttandomi fuori, fino in fondo. 
Come McMurphy, un vero eroe tragico, che si porta ai suoi limiti e li supera, facendo vivere all’altro momenti di vera vita.

La Legge non lo accetta, e lo elimina, togliendogli la possibilità di pensare, di immaginare, di creare. Ma grazie a lui forse qualcun altro potrà volare sul nido del cuculo. 
Perché è passato lui, come una cometa, che passando ha sconvolto lo spazio, le anime, le norme, le convenzioni, e poi è andato. 
E’ volato via, lasciando a noi il suo sorriso beffardo, ribelle, decisamente umano.

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