domenica 27 luglio 2014

Oscar Wilde - La Bellezza: Inferno o Paradiso?

“Il bello è lo splendore del vero”, dice Platone. Diremmo appunto che è una “bella” immagine. Profonda. L’unico problema è che se volessimo restare un po’ su questa affermazione, cominceremmo a porci tutta una serie di domande. Cos’è il bello? Cos’è il vero? Domande d’altronde che l’uomo si pone da sempre. E parole che l’uomo usa da sempre, spesso con molta disinvoltura, senza forse domandarsi che cosa con tali parole egli voglia veramente significare.

Che cos’è infatti la bellezza?
Quando noi troviamo, cogliamo qualcosa che ci appare veramente bello, la prima reazione è quella di stupore, di meraviglia. Come se si aprissero sensazioni nuove, ipotesi nuove, mondi nuovi, che nella normalità, ci sembravano impossibili, inesistenti.
Ma ci succede spesso? Dove e come potere incontrare la bellezza? E poi, la si incontra? O bisogna prepararsi all’incontro con essa, come ad un incontro d’amore?
Forse non siamo più capaci di amare e così forse succede con la bellezza?
Non siamo più capaci di coglierla?

Perché, forse,  per incontrare la bellezza bisogna saper vedere, ed essere capaci di quello “sguardo”.
Di uno “sguardo” che è fuori di noi, fuori dai nostri abituali criteri di giudizio, fuori dal nostro quotidiano sentire, fuori dalla nostra natura razionale. Solo allora, forse potremo incontrare la bellezza, quella bellezza che è lo splendore del vero. Un incontro che può essere esteticamente piacevole, ma a volte anche drammaticamente doloroso.

Ma allora perché cerchiamo la bellezza? Cosa ci sta dietro questo bisogno di bellezza?
“La Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l'una sull'altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l'eternità”.
Non possono che essere parole di un artista. Un artista per il quale la bellezza può vincere sul tempo, facendo cogliere il senso dell’eternità. Chi poteva osare dire tanto e osare agire così tanto? 
Il Re della Vita: Oscar Wilde.

(Oscar Wilde nel 1882)
Il Re della vita. Così Oscar Wilde si definisce in una lettera indirizzata al suo giovane amante Alfred Douglas. Il Re della “propria” vita. Colui che ha cercato di riempire di bellezza la propria vita. Nei gesti, nelle parole, nelle relazioni e nell’Arte.

La vita di Oscar Wilde é una singolare parabola morale e, insieme, un'opera di genio.
Wilde non seppe e non volle essere un grande scrittore. La sua opera d’arte doveva essere soprattutto la sua vita. Oscar Wilde cercò di trasformare ogni singolo istante in gioia, circondandosi di bellezza, senza sprecare un solo attimo della sua esistenza.

Ma cos’è la bellezza per Oscar Wilde? La sua era solo una bellezza puramente estetica? No, la sua idea di bellezza, come Platone, era sete di verità.

Ed è in nome di questa verità che sostenne la necessità, per l’artista, di godere della libertà assoluta, onde poter esprimere la sua arte in autentici capolavori. L’artista deve essere libero da ogni legame con la società, libero dai sentimenti, da ogni credo, poiché tutti questi obblighi limitano la sua capacità di ricerca del bello e quindi del vero.

Ci giunge spontanea una domanda: Ma se Oscar Wilde cercava, si attorniava e viveva così intensamente di bellezza, doveva essere molto felice. La sua vita una gioiosa passeggiata.
Oscar Wilde ci dà una chiara risposta attraverso la sua opera più importante, che diventerà eterna, come forse quell’idea di bellezza, tanto cercata. Il ritratto di Dorian Gray. Una vera e propria celebrazione del culto della bellezza.

Protagonista del romanzo è il giovane bellissimo Dorian Gray, ossessionato dall'idea di invecchiare e di perdere la sua avvenenza. Il pittore Basil Hallward gli fa un ritratto, e Dorian ottiene, grazie ad un sortilegio, che ogni segno del tempo deturpi non lui ma il ritratto.


Nel romanzo si coglie l’intreccio delle diverse personalità dei tre personaggi principali: Dorian Gray, dissoluto e amorale, edonista che vive di apparenze e che arriverà al tragico epilogo nel disperato tentativo di far coincidere l’arte con la vita; Lord Henry Wotton, l'amico, affascinante dandy il cui spirito cinico e decadente richiama quello dello stesso Wilde e Basil Hallward, il pittore, l'artista che plasma la Bellezza, invaghito di Dorian, del quale cerca di portare alla luce la coscienza morale.

Oscar Wilde li descrisse così in una lettera ad un suo amico Robert Ross:
“Basil è ciò che io credo di essere, Lord Henry ciò che il mondo pensa di me e Dorian ciò che mi piacerebbe essere, forse, in un’altra età”.
L’autore descrive un mondo aristocratico, dove tutto è vuoto e superficiale. Il tema è estremamente attuale e viene efficacemente riassunto in uno degli aforismi più noti del romanzo: “Oggi la gente conosce il prezzo di tutto e il valore di nulla”

Nell'opera appare in primo piano la condanna moralistica del vizio e la sua punizione, ma il romanzo rappresenta con compiacimento anche il fascino e la forza attrattiva del male, da intendersi come vita reale, coi suoi piaceri e le sue seduzioni. Il rapporto tra Dorian Gray e il quadro che lo rappresenta è così l’ambiguo rapporto, irrisolvibile per l’eroe decadente, tra il bene e il male, tra l’immutabile perfezione dell’arte e la precarietà dell’esistenza.

Ne "Il ritratto di Dorian Gray" si coglie che per Wilde la funzione dell’artista è inventare, non fare cronaca. Il realismo della vita sciupa continuamente l’arte; il piacere supremo in letteratura e nell’Arte è realizzare ciò che non esiste, dove l’Arte reagisce e vince contro la cruda brutalità del realismo puro e semplice.

Ma le vie del piacere portano veramente alla felicità ?
Ed eccoci ancora una volta di fronte ad una di quelle parole che riempiono le nostre bocche e le nostre orecchie. Ma il cui vero significato sembra non esistere. E soprattutto non esiste per quello che possiamo chiamare Artista.
Oscar Wilde non cerca la felicità nella vita. Anzi egli non fa altro che evadere dalla vita e dalla conseguente ricerca della felicità in essa, per rifugiarsi in un’inerzia e in un totale disimpegno dal mondo. Oscar andava verso il piacere come si va verso il dovere: “Per un terribile dovere devo provare piacere.”

“Non la felicità! Soprattutto non la felicità. Il piacere! Bisogna voler sempre il più tragico dei piaceri….”

Aveva forse pensato, forse capito, che la felicità, quello stato costante, statico, immobile di pace e serenità, non valeva la vita di un uomo?
Dopo la condanna per omosessualità, scontata ai lavori forzati, Oscar Wilde sprofondò nella più cupa e insopportabile delle sofferenze. Lo scrittore andò gradualmente ma inesorabilmente incontro alla morte. Ma con che animo? Con che profondità di pensiero? Sarebbe stato possibile tutto ciò, senza la sua vita fatta di eccesso?

"Noi che viviamo in questo carcere, nella cui vita non esistono fatti ma dolore, dobbiamo misurare il tempo con i palpiti della sofferenza, e il ricordo dei momenti amari. Non abbiamo altro a cui pensare. La sofferenza è il nostro modo d'esistere, poiché è l'unico modo a nostra disposizione per diventare consapevoli della vita; il ricordo di quanto abbiamo sofferto nel passato ci è necessario come la garanzia, la testimonianza della nostra identità.
Perchè il segreto della vita è la sofferenza. Essa è ciò che si nasconde dietro ogni cosa. Quando incominciamo a vivere, il dolce è così dolce e l’amaro così amaro, che inevitabilmente indirizziamo al piacere tutti i nostri desideri, e tentiamo non soltanto di nutrirci del favo del miele per un mese o due, ma di non toccare altro cibo per tutti i nostri anni, ignorando che nel frattempo la nostra anima soffre la fame"

Parole di un'anima. Sofferenza e bellezza. Inferno e Paradiso. Può esistere una senza l’altra?
Sì, ma solo in un'esistenza totalmente vuota.

La sua vita è stata un po’ commedia, un po’ dramma, come quello di Dorian Gray, e un po’ favola, come quelle che Oscar raccontava ai suoi due figli  quando erano piccoli. 
Una delle più belle è "L’usignolo e la rosa":

“Un usignolo dal suo nido sentì un giovane studente esprimere la propria tristezza poiché nel suo giardino non c’era nemmeno una rosa rossa, grazie alla quale avrebbe potuto ballare con la sua innamorata, come lei stessa aveva detto. Si disperava poiché, sebbene avesse letto tutto ciò che i saggi avevano scritto e conoscesse bene la filosofia, la sua vita dipendeva da una rosa rossa.

L’usignolo fece di tutto per cercare di aiutarlo, volò di giardino in giardino, ma non trovò nessuna rosa rossa. Decise allora di sacrificarsi: si gettò sulla spina di un rovo perforandosi il cuore, così che il suo sangue potesse rendere rossa la rosa, e mentre la vita abbandonava il suo corpo, cantò per l’ultima volta. Il mattino seguente il giovane trovò sulla finestra la rosa rossa
Appena la vide disse che era la rosa più rossa e bella di tutto il mondo e tutto felice andò dal suo amore. Quando fu lì, porse la rosa alla ragazza, ma lei, senza gratitudine, la rifiutò, e allora lui la gettò via”.

Oscar Wilde è stato un usignolo: amò la bellezza, amò l’amore, e continuò ad offrire questa sua passione, anche a chi poteva non comprenderla o rifiutarla. Ed allora colorò la sua vita di sangue, perché: "Dietro esistenze sublimi, c'è sempre qualcosa di tragico. Occorrono grandi tribolazioni perché possa sbocciare un piccolissimo fiore".

Starà ora a noi decidere cosa farne, di quella rosa rossa.
Passeri che scorazzano giocherellando nei cortili dell’esistenza? O usignoli che amano la vita fino a colorarla col loro sangue?
Oscar Wilde non ha mai avuto dubbi. La bellezza è l’unico vero senso di una vita, anche se per coglierla si deve spargere molto del proprio sangue.
Per diventare il Re della propria Vita.