martedì 26 marzo 2013

Il Teatro per rifare la Vita - Artaud


In questo tempo, più che in altri, l’esistenza del Teatro sembra quasi anacronistica, sia per chi lo fa, sia per chi ne fruisce.
Ci sono talmente tanti problemi “reali”, quotidiani, esistenziali, fisici e metafisici, che il Teatro sembra risultare un’arte antica e antiquata, valida forse per strappare una risata scacciapensieri in questi tempi oscuri.
Eppure il Teatro è senza dubbio lo strumento più adeguato per imparare la vita, per conoscerne le possibilità, per incontrare se stessi, i propri limiti, la propria più intima natura.
Ma oggi non c’è più tempo per imparare a vivere. Si può solo cercare di sopravvivere.
Ma incontriamo un personaggio che aveva capito, un secolo fa, che la vita bisogna costruirsela, non lasciarsela cadere addosso. E l’aveva capito proprio attraverso il Teatro, che aveva iniziato, come alcuni, come pochi, per cercare di capire qualcosa della vita e di se stesso. Antonin Artaud.

(Antonin Artaud, 1928)
Le idee del suo teatro vanno oltre il teatro stesso. Il “teatro della crudeltà” trasforma il teatro della parola, dei gesti, dell'immagine, dove diversi mezzi s'incontrano su un territorio comune e dove si ha una presa di coscienza di forme e di sensibilità coniugate. Il lavoro di Artaud tende a superare un mentalismo esasperato.

Per Artaud, il teatro non deve essere imitazione della vita: il teatro è un mezzo per rifare la vita. Ciò che avviene sulla scena non deve essere fatto per rappresentare, per "far capire" al pubblico. Ciò che avviene deve avvenire realmente, in quell'istante, deve essere reale (se l'attore si strappa i vestiti, deve farlo davvero, se colpisce qualcuno con una sberla, deve essere una sberla vera, se racconta qualcosa di personale, deve essere qualcosa veramente personale, ecc.).

In questo senso l'attore deve essere crudele, e lo stesso Artaud definisce in questo modo il termine crudeltà: "La parola crudeltà deve essere intesa in senso lato e non nell'accezione fisica e rapace che abitualmente le si attribuisce. Si può benissimo immaginare una crudeltà pura senza strazio carnale. Del resto che cos'è la crudeltà in termini filosofici? Dal punto di vista dello spirito crudeltà significa rigore, applicazione e decisione implacabile, determinazione irreversibile, assoluta".

Artaud sostiene che una vera e propria opera teatrale libera l'inconscio, scuote la pace dei sensi, spinge ad una sorta di rivolta virtuale. L'unica vera Rivoluzione che lo appassiona è quella interiore. Non è interessato agli aspetti sociali: "La Rivoluzione non consiste in una semplice trasmissione di poteri dalla borghesia al proletariato. Una Rivoluzione che ha messo al vertice delle sue preoccupazioni le necessità della produzione e che perciò insiste nel fare affidamento sul progresso meccanico è per me una rivoluzione di castrati. Ed io non mi nutro di quell'erba".

Evento, azione e performance devono colpire ai nervi lo spettatore. La violenza sui sensi deve avere il sopravvento, e la percezione dello spettatore deve spostarsi anche su qualcosa di magico, di invisibile e di segreto, e da qui nasce il "doppio" della realtà, che poi si rivela quella vera. L'attore deve quindi presentare un "doppio" fatto di realtà umana, ma quella vera, sempre celata sotto il velo dell’apparenza, della tecnica, del formalismo.

(Artaud fotografato da Man Ray, 1926)

L’attore (l’uomo) deve cercare la verità ad ogni costo, puntando su una sollecitazione emotiva, anche sregolata ed eccessiva, senza argini. Non serve riprodurre la realtà, ma invece cercare di portarsi ai limiti, annullandosi nell'emozione. Grazie a questo annullamento, Artaud crede che l'emozione si possa manifestare nella sua assoluta verità.

Tale manifestazione deve essere efficace, cioè produrre effetti reali, per chi la realizza e per chi la riceve.



La persona-attore è totalmente presente, con corpo e mente, perché ciò che vive lo vive davvero, non per finta, e l'azione che compie in tali condizioni è quindi un'azione cosciente, intesa come condizione che realizza la piena coincidenza di volontà e azione.

Nella formulazione delle sue teorie Artaud fu molto influenzato dall'incontro con Daumal, (seguace di Gurdjieff e del suo lavoro per la conquista della coscienza) e dal rapporto con Guenon, esponente della cultura esoterica, che profetizzava la rovina dell'Occidente a causa della perdita della tradizione orientale.

Il Teatro per Artaud è un processo che riguarda ogni essere umano, non solo chi fa l'attore. Artaud, e forse anche noi, indipendentemente da età, condizione sociale, problematica esistenziale, potremmo cercare e trovare nel teatro un cambiamento dell'essere, da effettuarsi attraverso l'azione che permette alla persona di scoprire se stesso e la sua coscienza.

L'obiettivo della persona-attore non è lo spettacolo, ma la conoscenza reale, la presa di contatto con l'istante presente: la coscienza. E in questo percorso di scoperta non viene posta alcuna limitazione mentale, nervosa o muscolare. Il gesto, attivando forze - e non più descrivendo forme, per quanto belle - può creare direttamente la realtà.

Artaud verrà spesso considerato un visionario. In seguito la sua visione verrà ripresa da Jerzy Grotowsky, che più di altri riuscirà ad avvicinarsi concretamente a ciò che Artaud aveva teorizzato: il teatro come svelamento, come Aletheia, come scoperta di sé e della propria vera coscienza.

Ed è con questa costante necessità che anche noi ci muoviamo cercando di non dimenticarci che la vita non è quella già fatta, ma quella che rifacciamo noi, avendo a disposizione un mezzo straordinario e immediato, dove “provare a vivere”: il Teatro.

"Se sono un poeta o un attore (o un uomo) non lo sono per scrivere o declamare poesie (o sopravvivere), ma per viver(le). Quando recito una poesia (o agisco nella vita) non è per essere applaudito, ma per sentire me stesso e gli altri corpi d'uomini e di donne - dico corpi - tremare e volgersi all'unisono con il mio” (Antonin Artaud)