lunedì 22 agosto 2011

J.F.Holderlin - Il Viandante e la Bellezza

da "Sulle Spalle dei Giganti"


"Folli in lungo e in largo giriamo; come la vite che erra
Quando le si spezza il bastone,sul quale al cielo si arrampica,
Ci disperdiamo sul suolo e per le plaghe della terra,
Raminghi, andiamo in cerca, padre Etere! Invano,
Giacché a spingerci è la voglia di abitare nei tuoi giardini".


Nessun altro poeta dell’età moderna sembra capace di nominare, nella fragilità della parola, il tutto della vita e della creazione. La sua esistenza appare tragicamente rappresentare la condizione di “viandante”, archetipo dell’uomo moderno; quel perenne spostarsi in altri luoghi, quella errabonda ricerca di un “altrove”. Heidegger lo ha definito il poeta dei poeti, ritrovando in lui l’”essenza della poesia”.  
Molti di noi lo conoscono per le sue poesie, per la sua vita particolare, per la sua follia. Ma forse nessuno lo ha mai veramente conosciuto. Come è possibile conoscere “un essere di un altro mondo”? Lo guardiamo, lo studiamo, lo giudichiamo. Con la nostra mente, cultura, conoscenza. Ma questa persona resterà per sempre “un essere di un altro mondo”. Nasce, o meglio….appare, in un piccolo centro a Nord di Stoccarda il 20 marzo 1770. A soli 2 anni perde il padre, due anni più tardi la madre si risposa con il borgomastro di un’altra città, dove si trasferisce con i figli del primo marito.

Ma solo 3 anni dopo rimane vedova una seconda volta. Questa nuova perdita, imprimerà un segno indelebile nell’animo di Hölderlin. Ma come si sviluppa  quest’anima “diversa”? 

Da giovane Hölderlin manifesta il suo precoce interesse per la classicità e incomincia a scrivere i primi versi. I suoi studi presso il famoso collegio Stift di Tubinga, a fianco di grandi filosofi come Hegel e Schelling, non possono non aver influenzato la sua crescita. Ma lui vede altro, sta cercando altro. E così continua il suo cammino da viandante dello spirito. A Jena incontra Schiller, il grande idealista, in cui forse pensava di trovare una comunanza spirituale e poetica. Incontra invece un maestro, figura assai opprimente sul piano psichico che è causa di un continuo, snervante confronto sul piano filosofico e poetico. Neanche con lui, neanche qui, riesce a trovare il suo mondo, che forse non è di questa terra. Riprende nuovamente il suo peregrinare cercando nella poesia e con la poesia il suo mondo, la sua realtà espressi attraverso il suo amore per la classicità e lo spirito greco. Sogna che la Germania possa diventare la nuova Ellade dell'Europa moderna, in una nuova primavera del genere umano. Ed eccolo a Francoforte dove la sua ispirazione poetica trova il suo punto focale, il suo sole, e la sua visione si fa luminosa ed assoluta. La sua musa, una fanciulla, Suzette, che diventa l’ispiratrice ed il modello di “fanciulla greca” delle sue opere: Diotima, l’idealizzazione della bellezza in sé, consentendogli di realizzare la sua massima opera: l’Iperione, espressione assoluta della sua visione del mondo e di sé stesso immerso nel tutto.  Iperione e Diotima: due anime profondamente solitarie che alla fine riescono a toccarsi fino a condividere il culto della bellezza. Ma la bellezza eterna non è di questo mondo. I due amanti hölderliniani,  si cercano e si trovano, per poi però distaccarsi ancora una volta.  Iperione ha voluto immergersi nel tutto della natura per ritrovare la sua metà mancante, prematuramente scomparsa. Per ritrovare, cioè, la sua Diotima...


"O voi che cercate quanto vi è di più alto e di più perfetto,
nella profondità della sapienza,
nel tumulto dell'azione,
nel buio del passato,
nel labirinto del futuro,
nelle tombe e al di sopra delle stelle!
Conoscete il suo nome?
Il nome di ciò che uno e tutto?
   Il suo nome è bellezza".   
                      
Per Hölderlin la bellezza rappresenta il segno dell'imperscrutabile presenza del divino celato nell'uomo.  Solo la bellezza ci potrà forse un giorno salvare dallo sfacelo incombente.
« Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l'uomo [...] Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all'immagine del mondo eternamente uno [...] e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e l'indissolubilità e l'eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo [...] Un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette [...] »

Una forza del sentire inaudita, una spinta visionaria sempre proiettata con lo sguardo verso l’assoluto, non gli danno spazio e senso per la “normalità”.
La relazione con Suzette si fa sempre più difficile e costringe Hölderlin a lasciare Francoforte separandosi forzatamente dall’amata. Inizia nuovamente il suo peregrinare. Vive a Homburg, in  povertà e solitudine dove, solo da lontano,  può vedere la sua amata. Scrive in quel tempo: “Poco ho vissuto. Ma spira fredda già la mia sera. E cheto, come le ombre, sono già qui e, senza ormai più canto, mi dorme in petto il cuor rabbrividito”.
Di nuovo in viaggio, chiede a Schiller una cattedra di letteratura greca. Ma il suo agire, il suo comportamento comincia ad essere considerato un segno di instabilità psichica. E così il rifiuto di Schiller, la progressiva perdita di molti amici. La diversità fa paura.
Nel 1802 parte da Bordeaux, attraversa a piedi la Francia, diretto in Germania. Una persona sana di mente, una persona normale, agisce in questo modo? Deve avere qualche problema psichico…..  Durante il viaggio apprende la notizia della morte di Suzette. La sua Diotima se né andata.

Un amico gli trova un posto di bibliotecario. Ha crescenti manifestazioni di schizofrenia.
La schizofrenia…considerata una malattia invalidante. Invalidante per che cosa? Si legge nei testi scientifici ufficiali: Le persone con questo disturbo possono sentire delle voci che gli altri non sentono, possono credere che gli altri leggano le loro menti, controllino i loro pensieri o che complottino per far loro del male: questo rende i malati di schizofrenia nervose od estremamente agitate. Ed ancora dai testi scientifici: I pazienti colpiti possono dire cose senza senso, possono stare seduti per ore senza muoversi o parlare; a volte sembrano perfettamente normali fin quando non cominciano a parlare di ciò a cui stanno realmente pensando. Fermiamoci un attimo.  Dire cose senza senso. Quali sono le cose senza senso e quali quelle con senso? Cos’è il senso in questo caso? Chi lo stabilisce? Stare seduti per ore senza muoversi o parlare. Questo è un grave sintomo di schizofrenia. E’ invece segnale di lucida vitalità passare otto dieci ore al giorno a parlare di politica, di sport o di procedure amministrative. E poi che dire di Buddha? Lo interniamo?  
Continuiamo: “A volte sembrano perfettamente normali fino a quando non cominciano a parlare di ciò a cui stanno realmente pensando”. Non sono necessari particolari commenti…
Ora sembra chiaro il perché la gente non parla di ciò che sta veramente pensando. Il rischio è la clinica psichiatrica. In realtà, Holderlin aveva un comportamento estremamente mite, salvo delle punte di forte agitazione legate a ricordi del passato. Ma lui anche in questo caso era diverso. Forse uno schizofrenico “diverso”. Viene quindi ricoverato nella clinica dell’università di Tubinga.
Un giorno, un signore che di mestiere faceva il falegname che aveva letto l’Iperione – già questo sembra un sintomo preoccupante di malattia psichica – decide di far visita all’autore del romanzo. Gli viene proposto di ospitare Holderlin a casa sua e il falegname accetta, probabilmente molto onorato. Lo alloggia in una sua torre sulle rive del fiume Neckar. Trascorre il tempo suonando la spinetta e scrivendo strani versi che firma con il nome di Scardanelli.
Con il suo comportamento scoraggia i numerosi visitatori che, diventato mito, vengono a trovarlo alla "torre", a cui si rivolge in modo cerimonioso: "Vostra altezza","Vostra Maestà","Vostra Santità", quasi a voler dare attuazione a quanto aveva scritto nella sua opera La Morte di Empedocle”: "Giorno per giorno dovrei assistere al ballo macabro in cui vi rincorrete l'un l'altro, in cui vi scimmiottate senza posa, inquieti, vagabondi, come ombre di sepolti?"

La grandezza spesso sgomenta. Le persone normali devono trovare una giustificazione, una spiegazione a questa diversità.
Hölderlin vive per 37 anni nella torre. Una stanza circolare, con una splendida vista sulle vallate del Neckar. Una sorta di proscenio sul quale Hölderlin non recita un ruolo, ma vive la sua tragedia, non prigioniero, ma libero, libero da un mondo in cui forse si è sempre sentito estraneo.
A volte Hölderlin si siede di fronte alla finestra aperta e magnifica il panorama infinito con parole incomprensibili. Quando è immerso nella natura, ha un rapporto sereno con se stesso. L’unico mondo che comprende, al quale appartiene. Il mondo dell’infinito. Agli inizi del giugno 1843 il poeta si ammala di polmonite. Scrive in questi giorni la sua ultima poesia, "La Veduta".

"In lontananza va la vita dell’uomo,
Dove scintilla dei tralci il tempo nuovo,
Il campo d’estate si svuota di figure,
Appare il bosco con immagini oscure;
Completi la natura l’immagine dei tempi,
che resti, ed essi scorrano svelti,
E’ perfezione, il cielo invia splendori
All’uomo, come gli alberi si avvolgono di fiori".  
                                         Con umiltà, Scardanelli


Hölderlin. L’uomo, il poeta, il filosofo.
Una persona che poco prima di morire scrive una poesia come questa, non può che essere folle…oppure… un essere di un altro mondo.

2 commenti:

  1. Grazie, la bellezza di questo scritto sta nella passione ... vera ... del suo amanuense

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  2. Bellissimo! Grande amore per il grande poeta di cui tutti siamo debitori dei suoi versi stupendi.

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