martedì 13 settembre 2011

Gertrude Stein - La vita come opera d'arte

A volte ci domandiamo come può essere una vita.
A volte ci lamentiamo per come siamo anziché per come avremmo potuto essere. Bellezza, intelligenza, fascino, intensità della vita e dei suoi eventi. Guardiamo un attimo questa donna.
Non certo graziosa, tozza, faccia dura con una espressione arcigna. Chi vorrebbe essere come lei?
E ora guardiamo questo quadro.
Ritratto di Gertrude Stein (1905-1906)
Questa donna, apparentemente insignificante, ha tenuto impegnato l’autore di questo dipinto, un pittore piuttosto famoso, capriccioso  ed impaziente, per oltre 90 sedute per realizzare questa opera, considerata ora una specie di icona di un intero periodo storico. E il pittore piuttosto famoso non era altro che Picasso.
E’ possibile “creare la propria vita”, indipendentemente dalle caratteristiche di cui ci ha dotato la natura? Ed è possibile far sì che non si tratti di una vita qualunque, ma di una vita veramente degna di essere vissuta?
Si potrebbe rispondere in termini scientifici, psicologici o filosofici. Ma pur sempre astratti e teorici. Proviamo invece a far rispondere a tale domanda proprio questa donna apparentemente così poco stimolante, almeno per quelle caratteristiche per le quali normalmente una donna viene apprezzata.

Si parla spesso di “spirito del tempo”. Cioè di quella particolare condizione del momento storico che fa sì che succedano eventi, compaiano persone, si realizzino scoperte, senza alcun diretto legame tra di loro, ma che di fatto sono strettamente connesse ed esprimono il punto di evoluzione a cui è giunto l’uomo in quel tempo. Appunto “lo spirito del tempo”.
Ma quale era lo spirito di quel tempo, agli inizi del ventesimo secolo? Alla formazione di quale spirito del tempo Gertrude Stein ha così significativamente contribuito?
Einstein scopriva la teoria della relatività del tempo, Bergson affermava il concetto di tempo come “durata”, Picasso immetteva la dimensione del tempo nei sui quadri cubisti.
E Gertrude Stein? Lei creava un nuovo modo di fare scrittura e letteratura, rompendo con la forma, distruggendo la trama e trasformando il concetto di tempo, eliminando la punteggiatura che scandisce il tempo e inserendo la ripetitività che ferma e avvicina il tempo.

Dal suo racconto “Teneri bottoni”: «Alcuni di quelli stavano dove stavano anche tanti altri. Alcuni di quelli stavano dove non stava nessun altro. Uno di quelli stava dove non era mai stato nessun altro di quelli, di quello stesso tipo, e questa era una cosa molto importante per chiunque l'avesse davvero vista, per chiunque l'avesse davvero sentita. Sarebbe stato davvero scoraggiante vederne altri, di quelli». E così via per altre venti pagine…

Nadia Fusini, docente universitaria e una delle nostre più sensibili scrittrici dirà:
«Per tutti i suoi devoti lettori, se c'è qualcosa di sovrumano, di divino in Gertrude Stein è la sua distanza dalle passioni umane più comuni, tra cui quella di comunicare. Noi devoti leggiamo la pagina steiniana avendo accettato la sospensione del significato, e navighiamo a vista in una dimensione di assenza di senso, avendo oltrepassato le colonne d'Ercole del bisogno di assegnare a ogni significante il suo significato, verso il mare aperto di un'avventura in cui la lingua è una sorpresa. In questo senso Gertrude è "sacra". E noi la veneriamo».

La Stein, proprio come del resto tanti altri spiriti geniali, ebbe molto a faticare per essere anche solo compresa. Lei vedeva e sentiva cose che gli altri non erano ancora in grado di cogliere.
Per la Stein lo scrittore doveva evitare in ogni modo di far più bella la realtà. La realtà era la realtà, punto e basta.  E allora:
“Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa, e non è il simbolo della passione o dell’amore, e il mare non è evasione e sentimento di libertà. Il mare è il mare, una motocicletta è una motocicletta. La prosa deve essere depurata da ogni clichè, da ogni luogo comune”.

Ed ecco che così la Stein muove il “primo passo nella narrativa del ventesimo secolo” influenzando con la sua forza, la sua personalità e la sua visione del mondo tutto il mondo letterario del suo tempo. Quindi non solo sembra possibile intervenire sul nostro destino, sulla nostra “natura”, per modificarne i condizionamenti, ma anche, per chi riesce a guardare oltre se stesso, intervenire sul tempo stesso in cui viviamo, operando per la creazione e trasformazione della realtà che ci circonda.
Gertrude Stein, a differenza della maggior parte degli artisti di ogni epoca, non si è limitata ad occuparsi della “sua” arte. Ma “sentiva” l’Arte, la fiutava, la cercava come un cane da tartufi. E amava l’Arte, di un amore disinteressato.
“Basta un vestito semplice e robusto, lo stesso nella vita, per poter dedicare tutta l’attenzione all’Arte”.

Ma amare l’arte voleva dire cercare di coglierne il processo creativo, di arrivare alla sorgente, all’origine dell’opera, di conoscere profondamente l’autore. E così il suo salotto parigino di Rue de Fleurus è sempre aperto a tutti gli artisti e, come diceva lei stessa, a tutti coloro “che amano e parlano di arte moderna”.
Ed ecco passare e fermarsi in quel salotto, coperto di quadri di tutti i pittori contemporanei: Picasso, Matisse, Hemingway, Scott Fitzgerald, Cocteau, il poeta Apollinaire e molti altri anche sconosciuti. Per tutti il salotto di Gertrude Stein era il punto di incontro, di scambio dell’arte moderna.
Lei respirava e faceva respirare a tutti lo spirito del tempo, e avrebbe influito in maniera determinante su tutta l’Arte ed il Pensiero a venire. Dal Futurismo fino ai giorni nostri.

A questo punto potremmo dire che un personaggio così poco attraente a livello estetico stava giocando le sue carte a livello intellettuale, per ottenere l’interesse degli altri e del mondo.
Ma anche in questo campo più propriamente personale, Gertrude ci sorprende per la sua assoluta libertà dal giudizio degli altri. Si innamora di una ragazza  molto più giovane di lei, e le chiede di sposarla. Convivranno per tutta la vita, facendo accettare al mondo benpensante le arditezze e bizzarrie normalmente concesse al genere maschile.
Scriverà, tra l’altro, “Autobiografia di Alice Toklas”, tradotta in italiano da Cesare Pavese. Si tratta di una autobiografia di se stessa in conto terzi, di una autobiografia dello spirito di un tempo e di un gruppo di artisti ed intellettuali che hanno cambiato, grazie in particolare a lei, la cultura del Novecento.

Ma possibile, quindi, che ci si trovi di fronte ad una persona veramente straordinaria che ha contribuito a cambiare il mondo? Eppure le sue opere letterarie sono pressoché sconosciute, il suo stesso nome è noto a pochi addetti, interessati alla cultura e all’arte.
Come si può spiegare questo strano fenomeno, questo mistero?
Azzardiamo una spiegazione: Gertrude Stein ha raccolto la sfida della natura, che sembrava volerla brutta ed insignificante, ed ha costruito invece una vera opera d’arte, fatta di costante ed instancabile lavoro creativo: lei stessa e la sua vita.

Gertrude, poco prima di morire, saluterà il mondo dicendo: “Qual è la domanda? Qual è la risposta?”



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