In questo tempo, più che in altri,
l’esistenza del Teatro sembra quasi anacronistica, sia per chi lo fa, sia per
chi ne fruisce.
Ci sono talmente tanti problemi
“reali”, quotidiani, esistenziali, fisici e metafisici, che il Teatro sembra risultare un’arte antica e antiquata, valida forse per strappare una risata
scacciapensieri in questi tempi oscuri.
Eppure il Teatro è senza dubbio lo
strumento più adeguato per imparare la vita, per conoscerne le possibilità, per
incontrare se stessi, i propri limiti, la propria più intima natura.
Ma oggi non c’è più tempo per
imparare a vivere. Si può solo cercare di sopravvivere.
Ma incontriamo un personaggio che
aveva capito, un secolo fa, che la vita bisogna costruirsela, non lasciarsela
cadere addosso. E l’aveva capito proprio attraverso il Teatro, che aveva
iniziato, come alcuni, come pochi, per cercare di capire qualcosa della vita e
di se stesso. Antonin Artaud.
(Antonin Artaud, 1928) |
Le idee del suo teatro vanno oltre
il teatro stesso. Il “teatro della crudeltà” trasforma il teatro della parola,
dei gesti, dell'immagine, dove diversi mezzi s'incontrano su un territorio
comune e dove si ha una presa di coscienza di forme e di sensibilità coniugate.
Il lavoro di Artaud tende a superare un mentalismo esasperato.
Per Artaud, il teatro non deve
essere imitazione della vita: il teatro è un mezzo per rifare la vita. Ciò che avviene sulla scena non deve essere fatto
per rappresentare, per "far capire" al pubblico. Ciò che avviene deve
avvenire realmente, in quell'istante, deve essere reale (se l'attore si strappa
i vestiti, deve farlo davvero, se colpisce qualcuno con una sberla, deve essere
una sberla vera, se racconta qualcosa di personale, deve essere qualcosa
veramente personale, ecc.).
In
questo senso l'attore deve essere crudele, e lo stesso Artaud definisce in questo
modo il termine crudeltà: "La parola
crudeltà deve essere intesa in senso lato e non nell'accezione fisica e rapace
che abitualmente le si attribuisce. Si può benissimo immaginare una crudeltà
pura senza strazio carnale. Del resto che cos'è la crudeltà in termini
filosofici? Dal punto di vista dello spirito crudeltà significa rigore,
applicazione e decisione implacabile, determinazione irreversibile, assoluta".
Artaud
sostiene che una vera e propria opera teatrale libera l'inconscio, scuote la
pace dei sensi, spinge ad una sorta di rivolta virtuale. L'unica vera
Rivoluzione che lo appassiona è quella interiore. Non è interessato agli
aspetti sociali: "La Rivoluzione non
consiste in una semplice trasmissione di poteri dalla borghesia al
proletariato. Una Rivoluzione che ha messo al vertice delle sue preoccupazioni
le necessità della produzione e che perciò insiste nel fare affidamento sul
progresso meccanico è per me una rivoluzione di castrati. Ed io non mi nutro di
quell'erba".
Evento,
azione e performance devono colpire ai nervi lo spettatore. La violenza sui
sensi deve avere il sopravvento, e la percezione dello spettatore deve
spostarsi anche su qualcosa di magico, di invisibile e di segreto, e da qui
nasce il "doppio" della realtà, che poi si rivela quella vera.
L'attore deve quindi presentare un "doppio" fatto di realtà umana, ma
quella vera, sempre celata sotto il velo dell’apparenza, della tecnica, del
formalismo.
(Artaud fotografato da Man Ray, 1926) |
L’attore (l’uomo) deve cercare la verità ad ogni costo, puntando su una sollecitazione emotiva, anche sregolata ed eccessiva, senza argini. Non serve riprodurre la realtà, ma invece cercare di portarsi ai limiti, annullandosi nell'emozione. Grazie a questo annullamento, Artaud crede che l'emozione si possa manifestare nella sua assoluta verità.
Tale
manifestazione deve essere efficace, cioè produrre effetti reali, per chi la
realizza e per chi la riceve.
La persona-attore è totalmente presente, con corpo e mente, perché ciò che vive lo vive davvero, non per finta, e l'azione che compie in tali condizioni è quindi un'azione cosciente, intesa come condizione che realizza la piena coincidenza di volontà e azione.
Nella
formulazione delle sue teorie Artaud fu molto influenzato dall'incontro con
Daumal, (seguace di Gurdjieff e del suo lavoro per la conquista della
coscienza) e dal rapporto con Guenon, esponente della cultura esoterica, che
profetizzava la rovina dell'Occidente a causa della perdita della tradizione
orientale.
Il
Teatro per Artaud è un processo che riguarda ogni essere umano, non solo chi fa
l'attore. Artaud, e forse anche noi, indipendentemente da età, condizione
sociale, problematica esistenziale, potremmo cercare e trovare nel teatro un
cambiamento dell'essere, da effettuarsi attraverso l'azione che permette alla
persona di scoprire se stesso e la sua coscienza.
L'obiettivo
della persona-attore non è lo spettacolo, ma la conoscenza reale, la presa di
contatto con l'istante presente: la coscienza. E in questo percorso di scoperta
non viene posta alcuna limitazione mentale, nervosa o muscolare. Il gesto,
attivando forze - e non più descrivendo forme, per quanto belle - può creare
direttamente la realtà.
Artaud
verrà spesso considerato un visionario. In seguito la sua visione verrà ripresa
da Jerzy Grotowsky, che più di altri riuscirà ad avvicinarsi concretamente a
ciò che Artaud aveva teorizzato: il teatro come svelamento, come Aletheia, come scoperta di sé e della
propria vera coscienza.
Ed
è con questa costante necessità che anche noi ci muoviamo cercando di non
dimenticarci che la vita non è quella già fatta, ma quella che rifacciamo noi, avendo
a disposizione un mezzo straordinario e immediato, dove “provare a vivere”: il Teatro.
"Se sono un poeta o un attore
(o un uomo) non lo sono per scrivere o declamare poesie (o sopravvivere), ma
per viver(le). Quando recito una poesia (o agisco nella vita) non è per essere
applaudito, ma per sentire me stesso e
gli altri corpi d'uomini e di donne - dico corpi - tremare e volgersi
all'unisono con il mio” (Antonin Artaud)